Juventus e l’autunno: riflessioni tra malinconia e speranza

Il pari con l’Atalanta lascia un retrogusto amaro, come certe giornate d’autunno. Ma la Juventus, tra memoria storica e poesia, è chiamata a ritrovare la propria bellezza anche nella stagione delle foglie che cadono.

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Da Verona a Torino, dal regolamento sibillino che ha tolto punti a inizio campionato al pareggio casalingo con l’Atalanta, la Juventus si scopre fragile, come se vivesse la stagione delle cadute e delle incertezze. Non è la squadra del Quinquennio d’oro, capace negli anni Trenta di imporsi con forza e aprire un ciclo irripetibile, né quella del settembre ’76 che sconfisse il Manchester City con Scirea e Boninsegna in un’Europa che cominciava a profumare di gloria. È una Juve diversa, autunnale appunto: capace di resistere, ma non ancora di convincere, aggrappata più all’orgoglio che al gioco.

Il pareggio contro i bergamaschi, strappato in extremis da Cabal, non basta a mascherare la sensazione di una squadra che non riesce a spiccare il salto. Ci si affida all’attimo, al lampo finale, come se ogni partita fosse una scommessa col destino. Ma il calcio, come la natura, non perdona chi si lascia vivere.

Il peso della stagione e la lezione della poesia

L’autunno, per molti, è malinconia. È il tempo delle foglie che cadono, delle giornate che si accorciano. Ma se torniamo all’etimologia della parola, come ricordano gli studiosi, l’autunno non è solo declino: viene dal latino augere, “accrescere”, e racchiude in sé l’idea di frutto maturo, di raccolto, di abbondanza. La stagione, insomma, non prepara solo all’inverno, ma porta con sé la pienezza di ciò che è stato costruito.

I poeti l’hanno raccontata in modi diversi. Pessoa vedeva nel dolore dell’autunno un riflesso dell’anima; John Keats, invece, nella celebre To Autumn, scritta nel 1819, celebrava i frutti e i fiori, le rondini e la bellezza che resta, anche quando tutto sembra avviarsi verso la fine. Il suo messaggio è chiaro: anche tu, autunno, hai la tua musica. E in quella musica si nasconde la forza della rinascita.

La Juventus, oggi, sembra sospesa tra queste due visioni: malinconica e incerta come Pessoa, ma chiamata a ritrovare lo sguardo luminoso di Keats. Perché anche nell’autunno calcistico, fatto di pareggi che pesano e punti che scivolano via, c’è spazio per la bellezza, per il gioco, per la vittoria.

La bellezza che resta

I calciatori passano, le stagioni si alternano, ma la Juventus rimane un simbolo che attraversa i decenni. Non basta un autunno opaco a cancellare una storia che vive di cicli, di rinascite, di nuove primavere. Non è il momento di immaginare i bianconeri “come d’autunno sugli alberi le foglie”, per dirla con Ungaretti. È il tempo di resistere, di costruire, di credere che da questa apparente fragilità possano nascere le basi per un nuovo ciclo vincente.

E allora, in questa ultima domenica di settembre, tra malinconie e speranze, resta la voce della radio che intona September Morn. La melodia accompagna i ricordi di altre vittorie autunnali, quando la Juve sapeva trasformare la stagione dei frutti in promessa di coppe e scudetti. Forse la bellezza, come insegnava Keats, non muore mai davvero: attende solo di essere riscoperta, anche sotto il cielo di Torino.

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