Fabio Quagliarella, ex attaccante della Juventus e simbolo di longevità nel calcio italiano, ha ripercorso la propria carriera in una lunga intervista al Corriere della Sera. Un racconto intimo, fatto di successi e dolori, di emozioni trattenute e di episodi che hanno segnato profondamente la sua vita, dentro e fuori dal campo.
L’uomo dietro il calciatore
Oggi Quagliarella si definisce un uomo «triste», ma non nel senso comune del termine: «Non fumo, non bevo, mangio sano. Non ho vizi, parlo poco, sono riservato. Debora, la mia compagna, scherza e dice che vivo poco le emozioni. In realtà è lei che mi dà leggerezza». La famiglia è stata sempre il suo punto fermo: il ricordo del padre Vittorio, scomparso un anno fa, resta vivido. «Lui aveva le chiavi della mia persona. L’unico di cui mi fidassi davvero».
Il rapporto con la famiglia ha scandito le tappe più delicate della sua carriera: dal pianto di un ragazzino tredicenne al Torino, convinto ogni sera di voler tornare a casa, fino all’emozione del primo stipendio da professionista. «Un milione e seicentomila lire, più di quanto mio padre vedesse in un anno. Mi sentivo in colpa, ma erano i nostri soldi».
Nella sua vita c’è stato però un buco nero lungo otto anni: quello dello stalking. «Un amico di famiglia, un poliziotto postale. Pacchi di lettere, minacce di morte a mio padre, una bara sotto casa con la mia foto. Ha distrutto la mia serenità e rovinato il mio trasferimento al Napoli». Un trauma che ancora oggi Quagliarella fatica a raccontare senza emozione.
Napoli, la Juve e gli anni d’oro
Proprio l’avventura al Napoli resta una ferita aperta: «Appena arrivato dissi al procuratore che ci sarei rimasto a vita. Invece dopo una stagione fui costretto ad andare via, non potevo spiegare nulla per via delle indagini».
Il passo successivo fu la Juventus, con Antonio Conte in panchina: «A Torino mi hanno accolto bene. Con Conte ci siamo divertiti. A Napoli oggi la gente ha capito e ricevo ancora affetto». Con i gol Quagliarella ha parlato più di ogni altra cosa. Dalla Sampdoria, dove chiuse la carriera, alla Nazionale, che considera sempre un brivido: «Il talento? Oggi manca. I ragazzi pensano di essere top player dopo mezza stagione».
Il futuro dopo il calcio
Il suo addio al calcio è stato quasi cinematografico: l’ultima gara con la Sampdoria nello stesso giorno dello scudetto del Napoli. «Un romanzo bellissimo, non lo dimenticherò mai».
Adesso guarda avanti, con un desiderio chiaro: «Vorrei tornare nel calcio, magari da direttore sportivo. Mi manca l’adrenalina delle partite».