Ogni stagione ricomincia sempre allo stesso modo: nelle probabili formazioni della Juventus il nome di Weston McKennie sembra destinato alla panchina, come se il suo posto fosse in discussione perenne. Poi passa una settimana, poi due, e tutto si ribalta. L’americano rientra, convince, si impone. E finisce per diventare di nuovo un titolare imprescindibile, quasi un riflesso automatico nelle scelte di chiunque sieda sulla panchina bianconera.
Da quando è arrivato alla Juventus nell’estate 2020, McKennie ha conosciuto cicli diversi, idee tattiche opposte, allenatori dalle filosofie lontanissime tra loro. Eppure ha giocato sempre, fino a toccare quota 200 presenze, un traguardo che parla più di ogni analisi tecnica. Diciannove gol, venti assist e soprattutto una continuità che nessuno osava prevedere al suo arrivo in Italia.
Un giocatore che piace a tutti
Il paradosso è semplice: McKennie è il calciatore che non appare mai indispensabile, finché non scende in campo. Da Allegri a Pirlo, da Tudor a Thiago Motta, fino a Spalletti, ogni allenatore ha finito per dargli un ruolo centrale. Non per caso, ma per necessità: la sua energia, la sua corsa, la capacità di applicarsi ovunque ce ne sia bisogno trasformano l’americano in una pedina di valore assoluto.
Con Spalletti, poi, la sua centralità è diventata totale. Il nuovo tecnico lo ha schierato titolare in ogni partita, dalla Serie A alla Champions, passando per la Coppa Italia. Un segnale chiaro, quasi didascalico: McKennie è uno di quelli che non vanno toccati.
La duttilità come marchio di fabbrica
Se c’è un motivo che spiega meglio di tutti la sua sopravvivenza tattica, è la capacità di trasformarsi. McKennie ha giocato ovunque, tranne in porta. Si è mosso da mezzala, mediano, esterno a tutta fascia, trequartista, addirittura terzino in emergenza. E ogni volta ha dato l’impressione di poter interpretare il ruolo senza snaturarsi, con quella fame che non lascia spazio ai dubbi.
È questo il suo segreto: non eccelle in una singola specialità, ma riesce a essere utile in tutto. E nell’idea di calcio moderna, fatta di rotazioni continue e strutture elastiche, un profilo così è oro puro. Non stupisce che Spalletti, che dietro ogni scelta pretende affidabilità e applicazione, l’abbia promosso immediatamente a giocatore chiave.
Duecento volte McKennie
Il traguardo delle 200 presenze è il punto esatto in cui la narrazione su McKennie cambia prospettiva. Non è più il ragazzo che sorprende, ma il professionista che conferma. Che tiene insieme reparti, che copre le falle, che legge le partite prima degli altri. Che, soprattutto, resiste. E per un club come la Juventus, sempre in transizione, vale quanto un gol pesante.
La storia si ripeterà anche l’anno prossimo, e forse quello dopo: qualcuno proverà a immaginare una Juventus senza McKennie. Poi la stagione partirà davvero, e lui si prenderà di nuovo il campo. Perché la sua forza, più che in ciò che promette, sta in ciò che fa. Sempre.

