Bremer si racconta: “Orgoglioso di essere vice capitano, la Juve ti impone di lottare sempre”

Il difensore brasiliano racconta la sua vita, il rapporto con la Juve e l’orgoglio della fascia: “Chiellini mi ha dato il via libera per il numero 3, ora voglio meritarmelo ogni giorno”.

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Dal sogno di un ragazzo cresciuto in un piccolo paese del Brasile all’orgoglio di indossare la maglia numero 3 della Juventus. Gleison Bremer si è aperto ai microfoni di Small Talk, sul canale YouTube bianconero, raccontando aneddoti di vita e sensazioni sul suo percorso dentro e fuori dal campo.

La fascia, il carattere e l’Italia

Il difensore brasiliano ha parlato del riconoscimento ricevuto da Tudor, che lo ha scelto come vice capitano: “È un orgoglio, ma in campo non cambia nulla: con o senza fascia bisogna lottare su ogni pallone. La Juve ti impone questa mentalità”. Un atteggiamento che si sposa con il suo “mood guerriero”, temperato però da un carattere riservato: “Mi piace stare nascosto, non ostentare”.

Bremer ha raccontato le sue origini, tra la vita semplice di un paese di 8 mila abitanti e i sacrifici della famiglia, con il padre ex calciatore dilettante e la madre insegnante. “Siamo cresciuti aiutando in fattoria, da lì ho imparato il valore del lavoro”, spiega il centrale. L’Italia è diventata presto la sua seconda casa: “Per noi sudamericani è il posto perfetto. Si vive bene, si mangia bene. Torino all’inizio mi è sembrata diversa, ma oggi è parte di me”.

La Juve, il numero 3 e la mentalità vincente

Sul piano calcistico, Bremer ha descritto il percorso di adattamento: “La prima cosa è stata imparare la lingua, poi la cultura tattica. Al Toro ho iniziato, ma alla Juve è tutto diverso: qui si gioca ogni tre giorni e serve attenzione maniacale ad alimentazione, sonno e allenamenti”.

Un capitolo speciale riguarda la maglia numero 3: “Ho sempre giocato con quel numero. Quando sono arrivato ho chiamato Chiellini per chiedere il permesso, lui mi ha detto di prenderla. Io cerco ogni giorno di meritarla”.

C’è stato spazio anche per il tema degli infortuni: “All’inizio ero arrabbiato, poi ho capito che serviva trarne insegnamento. Le difficoltà ti fanno crescere”. Sullo scontro con Openda, che lo ha costretto a fermarsi, ha aggiunto: “Mi ha chiesto subito scusa, sono cose che capitano. Non porto rancore”.

Infine, il ruolo di leader in una squadra giovane: “Non parlo molto fuori dal campo, ma voglio essere un esempio con i fatti. Ci sono altri leader come Gatti, Vlahovic e Locatelli, insieme possiamo trascinare la squadra”.

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